Terapia
Il trattamento di un paziente affetto da ADHD dell’adulto prevede un approccio multimodale che integra diversi interventi fra di loro: farmacologico, psicoeducazionale, di coaching e psicoterapeutico. Le diverse modalità di intervento devono essere temporalmente e gerarchicamente strutturate secondo il seguente schema:
Terapia farmacologica.
Psicoeducazione
Psicoterapia
Coaching
In considerazione degli elevati tassi di comorbidità fra ADHD e altri disturbi psichiatrici, prima di iniziare qualsiasi tipo di trattamento è importante valutare l’esistenza di disturbi compresenti, in modo da individuare una precisa gerarchia di intervento. Come regola generale, può essere usata quella di curare per primo il disturbo più grave. Ad esempio, disturbi psicotici, disturbo bipolare, abuso di sostanze, disturbo depressivo maggiore e disturbi d’ansia sono solitamente trattati per primi. Al contrario, i disturbi dell’umore e d’ansia meno gravi possono rispondere al trattamento dell’ADHD e, quindi, essere trattati simultaneamente all’ADHD stessa. L’abuso di alcol o sostanze dovrebbe essere stabilizzato prima di iniziare il trattamento, ma nel caso fosse presente può essere trattato anch’esso simultaneamente all’ADHD.
Come per altri distrurbi psicopatologici è verosimile che i fattori genetici determinano la predisposizione per il distrurbo, mentre l’attivazione di tale predisposizione viene modulata anche da fattori temperamentali e fattori ambientali, come nascita prematura, abuso di fumo o alcool da parte della futura mamma, modalità educative scorrette e contesti sociali svantaggiati.
Terapia farmacologica
Le terapie psicofarmacologiche specifiche per l’ADHD dell’adulto si suddividono in due grandi categorie in base all’azione farmacodinamica: stimolanti e non stimolanti. Tali terapie hanno tassi di efficacia molto alti, fino al 70%, e tale efficacia si mantiene fino a quando il paziente assume la terapia: in caso di sospensione i sintomi si manifestano nuovamente. Per questo motivo, un punto critico circa l’efficacia delle terapie psicofarmacologiche nell’ADHD è rappresentato dall’aderenza terapeutica, che può essere compromessa da aspetti tipici del disturbo come la difficoltà a programmare e ricordare l’assunzione del farmaco.
- Stimolanti: il principale rappresentante di questa categoria è il Metilfenidato. I farmaci stimolanti non migliorano solamente i sintomi specifici dell’ADHD, ma indirettamente vanno ad agire anche sui sintomi da disregolazione emotiva. Gli effetti collaterali sono generalmente lievi e transitori: cefalea, palpitazioni, riduzione dell’appetito, insonnia iniziale e secchezza delle fauci, aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa.
- Non Stimolanti: l’atomoxetina è un farmaco che, a differenza degli stimolanti, non agisce direttamente sulla dopamina ma inibisce il re-uptake della noradrenalina. Non essendo un farmaco stimolante, l’atomoxetina è associato ad un minor rischio di abuso e, avendo un’efficacia di 24 ore, è sufficiente un’unica somministrazione giornaliera. I possibili effetti collaterali comprendono riduzione dell’appetito, nausea e mal di stomaco con conseguente calo ponderale, sintomi simil-influenzali, rash, astenia, tachicardia, sonnolenza e effetti collaterali della sfera sessuale. Altre molecole non stimolanti sono: bupropione, modafenil, venlafaxina, antidepressivi triciclici.
Nel primo consensus statement europeo (Kooij et al., 2019), gli psicostimolanti (metilfenidato e dexamfetamina) sono raccomandati come farmaci di prima linea nell’ADHD dell’adulto, dati i loro effetti clinici moderati-alti, mediamente maggiori dell’atomoxetina e di altri farmaci non stimolanti. Non ci sono, tuttavia, studi head-to-head che forniscano analisi comparative robuste in termini di differenza di efficacia. In gran parte dell’Europa, la lisdexamfetamina è stata introdotta come formulazione a lento rilascio di dexamfetamina. Una recente mentanalisi che ha confrontato efficacia e tollerabilità delle terapie per l’ADHD nei bambini, adolescenti e adulti, ha concluso che la prima scelta nella terapia in età pediatrica e adolescenziale è il metilfenidato, mentre le amfetamine per gli adulti. Infatti, negli adulti non solo le amfetamine si sono mostrate più efficaci, come dimostrato dalla pratica clinica quotidiana, ma inoltre son risultate ben tollerate quanto il metilfenidato.
Psicoeducazione
La psicoeducazione è un vero e proprio addestramento del paziente, che viene informato su tutte le caratteristiche del disturbo di cui soffre. E’un training che attraverso un lavoro cognitivo-comportamentale migliora le competenze e cambia i comportamenti dei soggetti.
Terapia cognitivo comportamentale
Sebbene i trattamenti farmacologici per l’ADHD siano molto efficaci, molti pazienti continuano a sperimentare sintomi significativi e compromissione del funzionamento nella vita di tutti i giorni. Numerose evidenze di letteratura hanno mostrato che la terapia cognitivo-comportamentale, sia essa individuale o in gruppo, è in grado di ridurre i sintomi centrali di tale disturbo, i sintomi associati (disregolazione emotiva, disturbi del sonno, ansia e depressione) e la conseguente compromissione funzionale in differenti aspetti della vita quotidiana. La terapia cognitivo-comportamentale andrebbe utilizzata all’interno di un approccio multimodale in aggiunta alla terapia farmacologica e non come unico intervento terapeutico. La maggior parte degli studi controllati è stata effettuata su pazienti che assumevano terapie per l’ADHD e dimostrano un effetto terapeutico addizionale significativo. Tuttavia, non tutti gli adulti affetti da ADHD desiderano o tollerano la terapia farmacologica e in questi casi la terapia cognitivo-comportamentale può essere un’utile alternativa. I dati di letteratura consigliano approcci fortemente strutturati, che inizino con interventi psicoeducativi e che si focalizzino sulle competenze, sulle abilità di organizzazione e gestione del tempo, regolazione/controllo delle emozioni, abilità di problem solving, competenza sociale e strategie per migliorare la gestione degli impulsi. Oltre ad interventi comportamentali, che richiedono che i pazienti sperimentino nella vita di tutti i giorni le tecniche imparate durante le sessioni terapeutiche, gli interventi psicologici includono anche strategie cognitive, come l’identificazione dei pensieri negativi automatici, metodi per indirizzare gli “errori di pensiero” e l’introduzione di tecniche cognitive ristrutturanti. Ci sono evidenze che sottolineano come le distorsioni cognitive e gli schemi cognitivi disfunzionali correlati all’accumulo di esperienze negative, associate ai sintomi dell’ADHD, contribuiscano allo sviluppo di risposte funzionali negative e portino a condotte di evitamento, orientamento al fallimento, procrastinazione, sintomi depressivi e ansia.
funzionali di vita. Tuttavia, non vi è un metodo standard e il setting attraverso cui il coaching si sviluppa varia in maniera considerevole, andando da visite di persona a telefonate o e-mail. Ad ora, non ci sono studi controllati che valutino l’efficacia del coaching in senso terapeutico negli adulti affetti da ADHD
Coaching
Il mental coaching è una delle discipline di autoconoscenza, consapevolezza di se ed allenamento psicologico ancora non molto conosciuta in Italia, ma che negli ultimi anni viene sempre più utilizzata. Non vi è un metodo standard e il setting attraverso cui il coaching si sviluppa varia in maniera sia in presenza che via web.
Il coach non insegna e non dirige il soggetto ma accompagna e facilita il soggetto nel trovare nuove strategie e nuove dinamiche con le quali il suo potrà affrontare il suo quotidiano, crescere e ampliare le sue capacità. Tutto questo senza interferire in modo diretto, ma con il dialogo ed attraverso l’utilizzo di esercizi “allenamenti” da fare con il coach e da soli. Tale pratica è basata sul “fare” come concetto esperienziale io faccio=io apprendo. Naturalmente il mental coaching per soggetti Adhd, rispetto a quello più tradizionale, deve essere erogato da un Coach che ha ottima conoscenza del disturbo, che sa interagire in situazioni Dop, e che abbia una flessibilità di strumenti molto ampia, dato anche dalle varie comorbilità che ogni soggetto Adhd può presentare. I benefici riscontrati più evidenti sono l’aumento dell’autostima, miglioramento nell’organizzazione quotidiana, aumento del problem solving, miglioramento nella comunicazione e atteggiamento più positivo e più teso all’agire, portando ad un miglioramento della qualità di vita. Ad ora, non ci sono studi controllati che valutino l’efficacia del coaching in senso terapeutico negli adulti affetti da ADHD, ma da alcune casistiche già rilevate negli ultimi due anni forniscono alcuni dati a favore di un effetto positivo di tale pratica. La pratica del mental coaching si differenzia notevolmente quando viene erogata individualmente o in gruppo; individualmente è molto più efficace ed incisiva in quanto vengono prese in esame le varie casistiche della vita quotidiana del soggetto, mentre in gruppo si lavora sulla consapevolezza di sé e su tecniche di gestione più generiche. Analogamente, qualche iniziale evidenza sembra suggerire l’efficacia della terapia cognitiva mindfulness negli adulti affetti da ADHD.